14 febbraio 1960 – 14 febbraio 2020
La storia della Cantina
“È una storia d’amore. Il giorno di San Valentino del 1960 alcuni viticoltori del Moncalvese (quelle colline del Monferrato tra Asti e Casale) decisero di associarsi per vinificare le uve da loro prodotte. Poiché provenivano da sette Comuni decisero che il nome della cantina dovesse essere SETTE COLLI. La filosofia era semplice: produrre il vino esattamente come si faceva nelle cascine ma con una maggiore capacità di valorizzare e vendere il prodotto. Dopo sessant’anni la filosofia non è mutata: quando si beve un vino SETTE COLLI nel bicchiere c’è il prodotto di una cultura antica, ma con la tradizione al passo con la tecnologia. Ancora oggi, però mettiamo nel vino la passione che c’era quel lontano giorno di San Valentino.”
Sul finire degli anni 50 la produzione agricola era – nella nostra provincia ma come quasi ovunque – di ottima qualità ma con un mercato in mano a pochi speculatori. Spuntare un prezzo remunerativo e giusto per i propri prodotti era, per gli agricoltori, una continua battaglia. La viticoltura non faceva eccezione. Si puntava parecchio sulla quantità – anche se il vino rappresentava una delle fonti di maggior remunerazione dell’impresa agricola – e nella fase di commercializzazione il produttore era pressoché indifeso. È in questo periodo che si va diffondendo l’idea dell’associazionismo su base cooperativa. È vero che alcune cantine sociali nascono agli albori del ‘900, ma è tra il finire degli anni ’50 ed i primi anni ’60, che molte realtà cooperative prendono forma.
La Cantina Sociale di Moncalvo nasce proprio nel giorno più romantico dell’anno, il giorno di San Valentino, nel febbraio del 1960. E forse non è un caso, vista la passione e il grande amore per il proprio lavoro di chi ha voluto scommettere su questa iniziativa. Il bacino di riferimento è la zona del Moncalvese, in quel Basso Monferrato a cavallo tra le province di Asti e Alessandria. I fondatori provengono da sette comuni collinari 4 in provincia di Asti (Moncalvo, Grazzano Badoglio, Calliano e Penango) e 3 in provincia di Alessandria (Ponzano, Castelletto Merli e Cereseto). Il sito ove costruire l’enopolio viene individuato nel campo da calcio adiacente alla chiesa di San Giovanni, probabilmente perché ubicato sulla strada statale Asti-Casale. Il fabbricato appartiene a pieno titolo alle strutture tipiche delle cantine sociali di quel periodo, che puntavano molto alla funzionalità e non si curavano troppo dei canoni estetici. In tempi relativamente brevi vengono realizzati i due capannoni iniziali della cantina. Hanno una buona capienza ma l’eccezionalità quantitativa dell’annata 1964 impone di aggiungere un terzo capannone. Dopo l’ampliamento la cantina ha una capienza che supera i 75mila hl., che tradotto in monferrino significa “150mila brente”. In realtà tale enorme capacità (una delle maggiori del Piemonte) non verrà mai sfruttata appieno. Non dimentichiamo che in quel periodo il boom economico – e la conseguente industrializzazione – era alle porte ed il numero degli occupati in agricoltura era destinato ad un fortissimo ridimensionamento. Anche se va detto che il Monferrato Astigiano ha saputo, nel tempo, mantenere e valorizzare la propria vocazione vitivinicola. Il sorgere di numerose cantine sociali fece intravedere buone prospettive per la vitivinicoltura, ma ben presto si dovette fare i conti con la realtà. Nuove tecniche agronomiche consentirono di aumentare notevolmente la produzione, ma ben presto si presentò il problema delle eccedenze: troppo il vino prodotto che inevitabilmente veniva venduto per lo più all’ingrosso a prezzi scarsamente remunerativi. Molte aziende agricole erano condotte da persone ormai anziane: fortemente parcellizzate, erano senza tecnologia e senza prospettive di continuazione. Inoltre, non sempre i Soci si comportavano correttamente riguardo ai conferimenti e gli amministratori non sempre erano all’altezza del gravoso compito. A metà degli anni ‘60 vi furono casi clamorosi, basti pensare all’Asti Nord, cantina consortile di vaste dimensioni che fu protagonista di un imponente crac finanziario. Le conseguenze sull’ economia delle zone da cui provenivano i Soci coinvolti furono devastanti, anche perché le cantine sociali erano per lo più “società cooperative a responsabilità illimitata” ed i soci rispondevano in toto con il loro patrimonio delle disavventure delle società.
Sul finire degli anni ‘70 il lungimirante Assessore all’Agricoltura della Regione Piemonte, Bruno Ferraris, intervenne sulla situazione delle cantine sociali e mise mano al riordino del settore. Le cantine divennero “cooperative a responsabilità limitata”, vennero messe in sicurezza le situazioni patrimoniali e debitorie più preoccupanti e si puntò e finanziò la promozione del vino imbottigliato, allora ancora molto marginale. Da quel momento la Sette Colli diventa SCRL e muta il suo nome in “Cooperativa tra Viticoltori SETTE COLLI”. Agli inizi degli anni ‘80 il conferimento si attesta sui 23.000 quintali di uva ed inizia a puntare sul vino imbottigliato. Nascono i primi cru (Vigneto “Le Monache” e “Vigneto Peschiere”).
Negli anni ‘90 arriva un nuovo problema a mettere a dura prova i viticoltori. Il responsabile è un piccolo insetto e la malattia che falcidia le viti si chiama Flavescenza dorata. Le foglie della pianta malata diventano rossastre ed i tralci gommosi e sfibrati. Rapidissimamente la pianta muore e, cosa ancora più grave, rappresenta un pericolo per le altre. Si è cercato di far fronte all’epidemia con trattamenti, migliori gestioni agronomiche e reimpianti.
Oggi la Sette Colli trasforma un decimo dell’uva rispetto a 30 anni fa ma continua a produrre nella filosofia che è sempre stata alla base dell’azienda: vinificare come si farebbe a casa propria. Non si sono mai seguite le mode che hanno portato a vini omologati e tutti pressappoco uguali. Si è sempre cercato di valorizzare le caratteristiche organolettiche derivanti dal terreno. Uva raccolta ben matura, cura nella fermentazione e conservazione, interventi ridotti al minimo.
La filosofia può apparire semplicistica e scontata, quasi banale, ma è l’unica che garantisce un vino genuino e non standardizzato. La Sette Colli non ha mai puntato né a grandi exploit né a grandi numeri. È una piccola realtà che ha sempre proceduto a piccoli passi, con prudenza e realismo. Una piccola cantina, solida e fatta da gente solida, che non ha abusato dei contributi pubblici e che nel tempo ha mantenuto fede ai propri principi fondanti.
I soci oggi sono 37 e provengono sempre da sette Comuni: Moncalvo, Grazzano Badoglio, Penango, Calliano e Montemagno in provincia di Asti, Castelletto Merli e Cereseto in provincia di Alessandria. I prodotti più recenti sono una serie di vini legati a personaggi moncalvesi (la Freisa d’Asti La Bela Rosin, il Monferrato Rosso DOC Il Caccia, il Ruchè Castagnole Monferrato DOCG Il Capello, lo Chardonnay DOC Bonaventura e il recentissimo Spumante “Metodo Classico” Chardonnay) quasi a sottolineare l’indissolubilità con il territorio e la sua gente.
“La coop. Settecolli si propone per i prossimi anni alcuni obiettivi sfidanti tutti legati alla produzione di qualità, all’integrazione delle lavorazioni/produzioni tra i soci, al miglioramento dell’immagine dell’azienda ed alla promozione del territorio di riferimento”, continua a raccontarci il Presidente.
Attualmente propone una produzione vitivinicola di elevata qualità come testimoniano i risultati degli ultimi anni; l’intenzione di proseguire lungo questa strada è evidente tanto che sono in fase di valutazione sia l’ipotesi di un passaggio al biologico “tout court”, sia più cautelativamente all’attivazione di una linea di produzione biologica. Legata a questi obiettivi è sicuramente l’altra linea strategica in fase di valutazione, ovvero quella di integrare le produzioni viticole dei diversi Soci essendo la coop stessa a progettare gli interventi agronomici e a fornire le linee di prodotti da utilizzare in vigneto e le relative tempistiche di intervento. Tutto ciò al fine di garantire il raggiungimento di due risultati distinti ma ugualmente importanti:
– maggiore omogeneità nella qualità della produzione viticola, soprattutto qualora l’ipotesi “BIOLOGICO” venisse sposata nella sua integrità;
– maggiore socializzazione dei costi di produzione viticola. È facilmente intuibile che questa modalità permetterebbe sicuramente importanti economie di scala nell’acquisizione dei prodotti agronomici da utilizzare, sia nel caso della scelta “Bio”, sia nel caso del mantenimento dei sistemi di lotta tradizionali.
Nel corso del 2019 sono stati portati a termine alcuni investimenti importanti per la cantina: vedasi il trasferimento degli uffici amministrativa al piano soprastante ed alcuni importanti interventi manutentivi e di riorganizzazione nella zona di lavorazione e produzione. Ed altri interventi di recupero e manutenzione straordinaria saranno programmati per tutto il 2020 per migliorare il biglietto da visita della Coop Settecolli
“Ci auguriamo che questa storia d’amore continui per altri sessant’anni con uno sguardo al passato ed uno al futuro quindi, sempre con lo stesso amore che c’era in quella sera di San Valentino del 1960”.